Il meccanismo del danno cognitivo da farmaci antipsicotici

 

 

GIOVANNA REZZONI & LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 09 settembre 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

I farmaci antipsicotici rimangono il principale riferimento standard nella terapia della schizofrenia e di tutti gli altri disturbi psichiatrici che si manifestano con deliri ed allucinazioni. Anche se l’innegabile efficacia di queste molecole nel ridurre i sintomi di maggiore evidenza clinica è un argomento sufficiente ad escludere la messa in discussione del loro impiego, numerosi studi hanno evidenziato che l’esposizione prolungata ai farmaci maggiormente prescritti per il trattamento delle psicosi causa deficit cognitivo nei pazienti e nei modelli animali impiegati nella sperimentazione preclinica. I meccanismi molecolari direttamente responsabili di questo effetto indesiderato, che contribuisce a condizionare una qualità della vita già minata dalla psicosi, non sono stati ancora definiti con precisione, ma sono attualmente oggetto di intensi studi.

Daisuke Ibi e colleghi sono autori di uno di tali studi, che ha portato all’identificazione di meccanismi molecolari mediante i quali molecole prescritte nel trattamento delle psicosi danneggiano i processi cognitivi.

(Ibi D., et al. Antipsychotic-induced Hdac2 transcription via NF-KB leads to synaptic and cognitive side effects. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/nn.4616, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychiatry, Department of Neuroscience, Friedman Brain Institute, Department of Neurology, Icahn School of Medicine at Mount Sinai, New York, NY (USA); Department of Physiology and Biophysics, Virginia Commonwealth University School of Medicine, Richmond, Virginia (USA); Department of Chemical Pharmacology, Meijo University, Nagoya (Giappone); Department of Pharmacology, University of the Basque Country UPV/EHU, Leioa, Bizkaia (Spagna); Centro de Investigacion Biomedica en Red de Salud Mental CIBERSAM, Leioa, Bizkaia (Spagna); James J. Peters Virginia Medical Center, Bronx, New York (USA); Department of Biological Sciences, New York City College of Technology, Brooklyn, New York (USA).

I farmaci antipsicotici con la storia di maggior impiego in clinica psichiatrica appartengono alle seguenti classi: Fenotiazinici (distinti in alifatici, piperidinici e piperazinici), Tioxantenici, Butirrofenonici, Difenilbutilpiperidinici, Dibenzodiazepinici, Dibenzossazepinici, Diidroindolici, Benzamidi, Tiazine, Acridanici. La clozapina, una dibenzodiazepina già in uso trent’anni fa e inizialmente ritirata per aver provocato agranulocitosi, è stata fra i primi farmaci di quel nuovo corso che arriva ai giorni nostri e si è basato sulla sintesi di molecole il cui meccanismo d’azione era suggerito dai progressi compiuti nella neurochimica e nella neurobiologia molecolare dei disturbi psicotici. Rimandando ai testi di neuropsicofarmacologia recentemente aggiornati per una trattazione sistematica degli antipsicotici di nuova sintesi, ricordiamo come siano andate deluse molte speranze, nutrite soprattutto per varie molecole agenti sui sistemi neuronici segnalanti mediante il legame del glutammato ai recettori NMDA.

La reale efficacia dei farmaci antipsicotici esistenti non è tale da agire su tutto lo spettro dei sintomi e dei deficit funzionali che impediscono attualmente ai pazienti di vivere una vita normale. Lo studio dei meccanismi dell’azione farmacologica ha arricchito le nostre conoscenze sui bersagli molecolari e sui circuiti cerebrali implicati nelle proprietà antipsicotiche esercitate da tali classi di composti; tuttavia, la nostra comprensione del modo in cui questi obiettivi molecolari e questi sistemi di neuroni sono in rapporto con altri aspetti della fisiopatologia psicotica, quali i difetti cognitivi e i sintomi negativi, è incompleta, costituendo una grave lacuna, perché tali manifestazioni cliniche si presentano spesso come il problema principale dei pazienti in trattamento farmacologico. Più in generale, attualmente esiste uno scarto di conoscenza qualitativamente notevole tra la psicopatologia e la fisiopatologia della schizofrenia e degli altri disturbi psicotici. Tale gap può aver contribuito nella ricerca recente a determinare il costoso fallimento di alcuni grandi programmi di sviluppo clinico per farmaci diretti sui sistemi glutammatergici e sui recettori nicotinici.

La mancanza di successo nella validazione pratica di questi approcci farmacologici, salutati due decenni fa come la nuova frontiera della terapia psichiatrica, ha sollevato importanti interrogativi circa l’ipotesi scientifica che ha guidato la scelta dei bersagli molecolari, e dubbi circa la validità predittiva dei modelli, i cosiddetti translational models, che supportavano il razionale per la valutazione clinica di queste nuove molecole[1].

In una prospettiva clinica, si sente il bisogno di considerare maggiormente l’eterogeneità della malattia rispetto alle categorie diagnostiche attualmente in uso, e la validità dei costrutti psicopatologici con gli annessi criteri di valutazione impiegati per giudicare l’efficacia clinica di un trattamento. Senza mezzi termini, molti ricercatori e psichiatri con Forray e Buller[2], chiedono un cambio di paradigma per lo sviluppo di farmaci nel trattamento delle psicosi.

Tale nuovo paradigma richiederà, fra l’altro:

1) la considerazione dei difetti (intesi nel senso proprio di lacune descrittive) delle singole entità diagnostiche, quali quelle previste dal DSM-5;

2) la realizzazione di approfonditi e dettagliati fenotipi clinici da porre in rapporto con i risultati della ricerca genetica nella schizofrenia e con i progressi compiuti nella conoscenza biologica della neuropatologia psicotica;

3) la definizione dei domini sintomatologici che sono le maggiori fonti di disabilità, al fine di migliorare i risultati funzionali oltre le possibilità attuali[3]

Ma rimaniamo all’attualità dei farmaci di uso corrente nella pratica psichiatrica.

Non si può negare che l’indebolimento cognitivo generato negli psicotici dal trattamento protratto a piene dosi con psicofarmaci, pur noto da tempo, sia stato trascurato dalla maggior parte degli psichiatri e non sia mai stato posto al centro del dibattito sulla terapia delle psicosi. A parte la resistenza a mettere in discussione l’impiego di molecole difficilmente sostituibili per il loro profilo clinico, ha giocato un ruolo anche la notevole variazione di peso della questione da una casistica all’altra; infatti, le differenze nella media delle manifestazioni collaterali indesiderate o nocive sono notevoli. In realtà, è in questione la concezione che lo psichiatra ha della terapia farmacologica delle psicosi: se la ritiene uno strumento per ridurre, con i sintomi, i circoli viziosi neuropatologici e psicopatologici, o se la ritiene una cura effettiva del disturbo.

Nel primo caso la posologia sarà quella necessaria e sufficiente ad ottenere la remissione delle manifestazioni più gravi, e il trattamento farmacologico sarà integrato da psicoterapia, socioterapia, terapia occupazionale, attività motorie, ecc. Nel secondo caso, si finisce per dover impiegare i dosaggi più alti nel range dei protocolli di trattamento, e l’intervento è in genere quasi esclusivamente limitato alla somministrazione di farmaci.

In questo secondo caso, i pazienti affetti dalle tipiche forme di psicosi cronica schizofrenica sono particolarmente a rischio di compromissione cognitiva iatrogena.

Un altro aspetto di assoluta importanza è la valutazione cognitiva del paziente psicotico: una pratica relativamente recente. Un esame sommario dello stile e del profilo cognitivo secondo la semeiotica psichiatrica è sempre stato parte della valutazione del paziente, ma uno studio sistematico delle strumentalità cognitive, come quello basato su programmi di test-training computerizzato inizialmente concepiti per le lesioni cerebrali (Gianutsos & Gianutsos, 1981; Lugeschi, 1993) non era previsto dalla clinica psichiatrica classica. Ricordiamo, in proposito, che il nostro presidente è stato fra i pionieri di questa pratica, avversata nella maggior parte degli istituti universitari in cui si era sviluppata una cultura psichiatrica basata su teorie psicologiche spesso interpretate come ideologie, del tutto separate dal sapere neuroscientifico.

L’indagine condotta da Daisuke Ibi e colleghi sui meccanismi molecolari responsabili del declino cognitivo da farmaci antipsicotici ha accertato che l’esposizione cronica all’azione di tali molecole aumenta la traslocazione nucleare di NF-KB, sia nei neuroni della corteccia frontale umana sia nelle cellule nervose omologhe della formazione corticale frontale del topo: un evento di traffico molecolare innescato dalla downregulation, dipendente dal recettore serotoninergico 5-HT2A, del repressore IKBα di NF-KB. Tale regolazione verso l’alto dell’attività di NF-KB portava ad un aumentato legame al promotore di Hdac2, accrescendo in tal modo la trascrizione di Hdac2.

I ricercatori hanno poi condotto esperimenti per accertare l’importanza di questo meccanismo: la delezione di HDAC2 nei neuroni piramidali del proencefalo preveniva gli effetti negativi degli antipsicotici sul rimodellamento sinaptico e sui processi cognitivi.

Per una verifica, Daisuke Ibi e colleghi hanno sperimentato l’attivazione mediata da virus della segnalazione NF-KB, ed hanno rilevato che riduceva la plasticità sinaptica corticale mediata da HDAC2.

Nel loro complesso i dati emersi dalla sperimentazione, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura integrale del testo dell’articolo originale, rivelano un preciso meccanismo molecolare responsabile, attraverso un’alterazione del rimodellamento sinaptico, del declino cognitivo indotto da psicofarmaci nei pazienti psicotici, e suggeriscono nuovi bersagli farmacologici per tentarne la prevenzione o il trattamento.

 

Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni & Ludovica R. Poggi

BM&L-09 settembre 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Forray C. & Buller R., Challenges and opportunities for the development of new antipsychotic drugs. Biochemical Pharmacology – AOP doi: 10.1016/j.bcp.2017.05.009, May 15, 2017.

[2] Forray C. & Buller R., op. cit.

[3] Forray C. & Buller R., op. cit.